Ritratto del regista Claudio Caligari

La distanza che separa il primo lungometraggio di Claudio Caligari, Amore tossico, dall’ultimo e postumo Non essere cattivo, al di là dei trentadue anni cronologici, non esiste. Non perché quest’ultimo, presentato fuori concorso a Venezia 72, sia un clone aggiornato della devastazione giovanile anni ‘80 con protagonisti ex-tossici sulla via del recupero ma, al contrario, perché il regista sembra che non sia mai uscito dal set, nemmeno ora che la sua assenza si fa pesante.

Non essere cattivo è la storia di due amici, Cesare (Luca Marinelli) e Vittorio (Alessandro Borghi) legati da un sentimento che supera i confini della droga e delle dipendenze introdotte dagli anni ’90, come il videopoker. Una storia corale che parte nello stesso luogo e nello stesso istante di Amore tossico: sul lungomare di Ostia, con uno dei protagonisti che mangia un gelato sul muricciolo per ingannare l’attesa e il compagno che lo riprende subito «ma cosa fai, magni un gelato?».

Quel gelato viene subito gettato nell’immondizia perché non è più un sintomo di disagio ma un orpello di cui liberarsi nei frenetici anni ’90 in cui la droga è cercata con violenza istantanea: manca il coraggio di ferirsi perché niente è ormai importante e così i corpi non sono più bucati, aperti, ma diventano imbuti per pasticche e polveri, contenitori sempre aperti.

C’è un perché Valerio Mastandrea e i produttori del film si sono impuntati, anche in conferenza stampa, sulla scelta di Barbera di inserire Fuori Concorso l’ultima opera di Caligari, morto a pochi giorni dal ciak finale. Cosa avrebbe provocato la presenza di un film tanto vivo e così poco retorico nella bonaccia veneziana? Secondo Barbera, si sarebbe creato un caso, con o senza premi. Invece no, meglio che non ci siano casi, meglio lasciare i critici e la giuria nel torpore di una scelta sempre più indirizzata verso il “meno peggio”.

Che impatto avrebbero avuto Luca Marinelli, attore multiforme, e il personaggio di Cesare, anima disperata e dolorosa ma non cattiva, sul Concorso? Solo uno: Coppa Volpi.

Cosa avrebbe significato confrontare film creati in laboratorio, come Equals o Frenzy, con storie che vengono dal sottobosco, seppur venato di ricerca intellettuale, di un’Italia allo sbando con vent’anni di anticipo sulla grisi (sì quella con la “g” maiuscola)? Avrebbe aperto la mente ad una scelta, invece che confinarla in percorsi già prestabiliti e difficilmente modificabili.

 

Ma in fondo è giusto che Non essere cattivo, con il suo amore viscerale per il cinema, con le sue famiglie dilaniate, con le sue figure che incessantemente rincorrono desideri mutevoli e inafferrabili, fino ad arrivare alla purezza del sogno ad occhi aperti (bellissima la scena dell’incidente sognato), con la sua rabbia e, al tempo stesso, con la sua pietà verso i marginali, non debba competere, anche se le motivazioni non sono quelle tirate fuori da Barbera.

 

Michele Galardini