Nel 1348 Firenze è colpita dalla Peste. Dieci giovani decidono di rifugiarsi sulle colline toscane e lì attendere la fine della pestilenza raccontandosi ogni giorno una novella diversa. Cinque di queste diventano la materia di cui è composto l’ultimo film di Paolo e Vittorio Taviani.

Si sente qualche borbottio all’uscita dalla proiezione stampa di “Maraviglioso Boccaccio” al cinema Portico di Firenze, e quelli che, al contrario, hanno accolto con grande favore l’ultima opera dei registi di San Miniato, si contano sulle dita di una mano. Colpa, probabilmente, di quella scarsa adesione ai contenuti che ha trasformato un testo ‘sboccacciato’ in una lezione quasi pedagogica, quando invece tutti si sarebbero aspettati un profluvio libidico degno del miglior Carmelo Bene. In pratica è come se si fosse rinunciato fin da subito a stupire il pubblico preferendo mettere le basi per un progetto più ampio, che romperà i confini delle due ore del film per arrivare, chissà, in televisione con una mini-serie. Un’ipotesi che sarebbe in linea con l’intento didattico assunto all’interno delle novelle raccontate ( la novella narrante l’amore fra Ghismunda e Guiscardo osteggiato dal padre di lei, il duca Tancredi; Federico Degli Alberighi; la novella di Calandrino; la badessa e le brache del prete; la novella di Messer Gentil de’ Carisendi e Monna Catalina) che hanno come filo conduttore ancor prima dello stile e del rigore formale, il paesaggio.

Da sempre attenti esploratori delle potenzialità visive e artistiche del cinema, i fratelli Taviani compongono quadri di incredibile potenza pittorica (su tutte la novella di Gentil de’ Carisendi) nei quali è semplicissimo affogare, perdendo le coordinate spazio-temporali, grazie anche all’aiuto della struttura ‘a episodi’ del film.

Se, a livello visivo, l’episodio che più convince è, paradossalmente, quello che fa da cornice alle novelle, con la magnifica ricostruzione della vita durante i giorni della pestilenza girata nei bellissimi luoghi storici scovati fra Firenze, Grosseto, Pistoia, Siena, e inaugurata dalla caduta di un uomo dal campanile di Giotto (molto simile alle immagini degli uomini volati giù dalle Torri Gemelle), le altre parti dell’opera vivono grazie alla bravura degli interpreti. Nella sfilata di alcuni tra i migliori interpreti italiani a emergere è chi, come Kim Rossi Stuart o Lello Arena, ha saputo costruire il personaggio senza farsi semplice megafono letterario, vedi Riccardo Scamarcio o Paola Cortellesi.

“Maraviglioso Boccaccio” diventerà, sicuramente, un must per gli insegnanti delle scuole primarie o secondarie, per la delicatezza con cui affronta temi universali come l’amore o la morte, per la grande opera di ricostruzione storica, per il suo rifiuto di interpretazioni e di ambiguità di fondo, insomma per la chiarezza con cui restituisce sul grande schermo il Decamerone edulcorandone le parti più scomode.

A fronte di questo ‘tradimento’ dello spirito boccaccesco il dubbio è però inevitabile. Non siamo forse fin troppo abituati alla rappresentazione della sessualità, molte volte di misera qualità, per riuscire a soprassedere se viene a mancare proprio là dove eravamo sicuri di trovarla? Qualcuno si era preparato a “Maraviglioso Boccaccio” con lo stesso spirito di “50 sfumature di grigio”?

Dagli artefici di uno dei film più emozionanti della storia recente del cinema italiano, “Cesare deve morire”, ci si aspettava sicuramente uno sguardo meno rigido, una condiscendenza meno marcata e un’esplosione più dirompente di sentimenti e situazioni, ma non dobbiamo fare lo sbaglio, tremendo, di porre la nostra esperienza letteraria al di sopra di ogni giudizio. “Maraviglioso Boccaccio” vivrà scollegato dal suo autore primordiale, e solo il tempo potrà dire se i fratelli Taviani hanno avuto ragione delle loro scelte.

Michele Galardini su CarnageNews