Sono nato a Torino nel 1939. Ho contratto la malattia del cinema in giovanissima età, frequentando le sale cinematografiche della mia città. Molte di esse non esistono più, e questa non è l'ultima delle cose che mi ricordano quanto tempo sia passato da allora.
I miei genitori non erano contrari al fatto che io andassi al cinema, ma ragionavano su una scala diversa dalla mia: per loro aveva un senso vedere un paio di film al mese, mentre io avrei voluto vederne almeno uno ogni giorno. Loro lo consideravano un semplice divertimento, io un arricchimento. Poiché comunque loro, con un certo buon senso, pretendevano che io andassi a scuola e alla fine dell'anno (bene o male) passassi gli esami, talvolta mi vedevo costretto a dire che andavo a studiare da un amico per poi, con l'amico in questione, imboscarmi in una sala cinematografica. Questa mia carriera di fuorilegge ebbe comunque breve durata e non fu esente da traumi e da delusioni: c'è un film intitolato Il mistero del castello nero che ancora oggi ignoro come vada a finire, perché fui identificato da una malvagia cassiera di mezza età (sicuramente inacidita da chissà quali frustrazioni), e drammaticamente prelevato da una accigliatissima sorella maggiore a nemmeno mezz'ora dall'inizio del film. 

La situazione migliorò negli anni dell'università, anche perché incominciai a scrivere di cinema, non più soltanto - come facevo da tempo - su certi miei quadernetti neri, ma su alcuni giornali studenteschi e politici (ah, l'emozione di vedere per la prima volta il proprio nome composto con caratteri tipografici... ); in quegli stessi anni partecipai alla nascita del "Centrofilm" di Gianni Rondolino, diressi dopo di lui il Centro Universitario Cinematografico e realizzai una ventina di film a passo ridotto insieme a un gruppo di amici. Tra una cosa e l’altra, davo esami universitari di cui non poteva importarmi di meno, fino a che il conseguimento di una laurea in giurisprudenza non mi pose il problema di scegliere un'attività professionale.

Mi sarebbe piaciuto, ovviamente, che questa fosse in qualche modo connessa con il cinema. E la cosa più prossima al cinema che trovai fu un lavoro allo Studio Testa, una grande agenzia di pubblicità, dove entrai come aspirante copywriter e dove in cinque anni finii per scrivere e dirigere un mezzo migliaio di “caroselli” (gli spot pubblicitari di allora).

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